La crisi economica che si è abbattuta sui paesi occidentali dal 2008 ha avuto effetti disastrosi, non solo sul piano economico, ma anche, e soprattutto, su quello sociale.

L’elevata disoccupazione, e nel nostro paese in particolare quella giovanile, e la caduta del reddito, hanno avuto conseguenze drammatiche, cui ancora oggi sembra non trovarsi soluzione.
Il contesto di crisi ci ha portato a riflettere su come la crescita degli scorsi decenni nei paesi occidentali non sia stata inclusiva delle diverse fasce sociali, ma anzi ha portato all’aumento del divario nei redditi e nelle opportunità, facendo esplodere le disuguaglianze, diventate oramai tangibili in tutte le diverse manifestazioni, e riportando il tema nuovamente al centro del dibattito pubblico.

La disuguaglianza incide su molti aspetti della vita quotidiana, e per questo è necessario analizzare le diverse dimensioni che il fenomeno coinvolge.
Partendo dai redditi, la disuguaglianza nella loro distribuzione è diventata con la crisi manifesta ed evidente. Nel corso dell’ultimo mezzo secolo la disuguaglianza distributiva è aumentata, portando, nei paesi economicamente avanzati, ad una crescente asimmetria: da una parte aumentava la quota destinata alle “élite” (titolari di rendite finanziarie), dall’altra la gran parte dei lavoratori iniziava, di converso, a ricevere quote di redditi prodotti sempre minori.
Se da una parte questo aspetto non può essere sottovalutato, ancora più preoccupante è la pericolosa interazione di questa con le altre fattispecie in cui la disuguaglianza si declina. Sempre più spesso assistiamo ad una contrapposizione territoriale, e non solo, fra centro e periferie, in cui la distribuzione dei servizi di base risulta sempre più diseguale. L’accesso all’istruzione e alla sanità di buona qualità, è reso spesso difficile dalle barriere territoriali e di reddito, danneggiando le opportunità di realizzazione dell’individuo, che, unite alla penuria di occasioni lavorative, è causa spesso di emarginazione sociale.
La crescita delle disuguaglianze, nei suoi diversi aspetti, è direttamente collegata all’aumento della povertà, che in molti paesi, compresa l’Italia, è tornata a crescere negli ultimi anni, diventando un fenomeno preoccupante.

L’iniquità nella distribuzione dei redditi prodotti, insieme alla distruzione dei posti di lavoro operata dalla crisi, ha prodotto un aumento significativo della quota di popolazione in condizioni di povertà, sia relativa che assoluta: l’8% della popolazione vive in condizioni di povertà assoluta, un valore cresciuto del 141% dal 2005[1].

Analizzando la distribuzione della povertà possono essere identificati come soggetti a maggior rischio i giovani, ovvero coloro i quali hanno maggiore difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro, e le famiglie numerose, in particolare se di operai, che hanno spesso una maggiore difficoltà a rimanere nel mercato del lavoro poiché diventa difficile conciliare il lavoro con la cura della famiglia, nel caso in cui i servizi di base, in particolare relativi all’assistenza all’infanzia, scarseggiano.

Lo scenario appena descritto vede come fattore determinante nell’aumento delle disuguaglianze il maggior ruolo assunto dal mercato, non adeguatamente regolato, nell’economia, così come lo è stato a partire dagli anni ’80. Nel mondo del lavoro inoltre, in particolare nel nostro paese, l’aumento della flessibilità, nelle sue diverse forme, non è stata accompagnata da una adeguata ristrutturazione delle politiche sociali, che hanno quindi portato ad un dualismo tra lavoratori ampiamente tutelati, e le fasce più deboli, con lavoro, e tutele, precari.
Se regolare i mercati, oramai globalizzati, appare oggi una strada difficile da intraprendere, rimangono ancora due strumenti: sostenere il lavoro ed adeguare le politiche sociali.

La soluzione più adeguata per eliminare le disuguaglianze rimane quella di garantire un lavoro che assicuri un reddito adeguato e stabile nel tempo; per garantire la più ampia partecipazione al mondo del lavoro diventa quindi necessario implementare delle politiche attive del lavoro che consentano la formazione continua e il coinvolgimento delle diverse fasce di popolazione nel mercato del lavoro. D’altra parte, sono necessarie politiche di welfare, strumentali a quelle del lavoro, che consentano di redistribuire le risorse, e consentire a tutti gli individui di accedere a servizi che altrimenti molti avrebbero difficoltà a procurarsi autonomamente sul mercato.

Il dato che emerge dunque è che i processi globali, non controllati, hanno causato un aumento delle disuguaglianze sociali, e che agiscono soprattutto tramite l’indebolimento del “fattore lavoro” (dall’indebolimento del potere contrattuale alla riduzione delle politiche sociali). Proprio da qui occorre quindi ripartire per poter superare tali aspetti negativi della globalizzazione e per poter costruire una crescita inclusiva e che consenta la piena realizzazione di ogni individuo.

Marco Sforza.

[1] http://www.repubblica.it/economia/2016/12/13/news/disuguaglianze_sociali_in_italia_in_dieci_anni_la_poverta_e_cresciuta_del_141_-153643958/