La “Women’s march” su Washington DC del 21 gennaio 2017 (nel primo giorno in carica del neo eletto presidente degli Stati Uniti d’America), promossa con l’intento di ricordare che “i diritti delle donne sono diritti umani”, sembra non aver scalfito minimamente Donald Trump, il quale, tra le sue prime decisioni governative, ha preso quella di firmare la reintroduzione del provvedimento che blocca l’erogazione dei finanziamenti federali alle organizzazioni non governative internazionali che praticano l’interruzione di gravidanza o forniscono informazione a riguardo. Gli Stati Uniti rientrano tra i più grandi finanziatori al mondo delle organizzazioni che operano nei paesi in via di sviluppo: parliamo di organizzazioni che si occupano di diffondere contraccettivi, che operano al fine di prevenire la trasmissione dell’HIV e le cure per il medesimo virus a paesi in America del Sud, Africa e Asia. La scelta che è stata lasciata alle ONG è chiara: cambiare i servizi che offrono, eliminando tra questi le pratiche abortive, o rinunciare ai finanziamenti degli Stati Uniti (parliamo di circa 600 milioni di dollari). Non si tratta dunque di un semplice scontro etico tra i “pro-life” e i “pro-choice”: si tratta dell’ennesimo ricatto. Quella che viene definita la “Mexico City Policy” infatti non è certo una novità: dal 1984 il blocco ai finanziamenti per l’aborto viene introdotto dai repubblicani e revocato dai democratici ad ogni cambio di presidente. Danneggiare le organizzazioni che si occupano di informare sull’aborto e di praticarlo nei paesi in via di sviluppo, significa un attacco indiretto anche alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, significa un aumento degli aborti clandestini, significa negare diritti, significa perpetuare politiche bigotte e immorali a scapito della vita di milioni di donne e bambini. Lilianne Ploumen, ministra olandese per la cooperazione e lo sviluppo, si è espressa a riguardo: «Il divieto d’aborto non porta a meno aborti ma a più pratiche irresponsabili in luoghi clandestini e a più mortalità materna. […] Dobbiamo compensare questo colpo finanziario quanto possibile con un fondo ampiamente sostenuto a cui governi, imprese e organizzazioni sociali possano fare donazioni». Contro le politiche anti-abortiste degli USA e a favore del fondo proposto dalla Ploumen, si è espresso favorevolmente anche il ministro belga alla cooperazione Alexander De Croo.

E come se la reintroduzione della “Global Gag Rule” (la “Regola del bavaglio globale”, così chiamata dai suoi oppositori) non bastasse, ad alimentare la rabbia e l’indignazione generale vi è la foto che ritrae Trump al momento della firma del decreto. Quelle che infatti sono retrograde politiche anti-abortiste, si tramutano improvvisamente nella reincarnazione del peggior incubo di ogni femminista: uomini che decidono di vita e diritti della donna. Martin Belam, del The Guardian, ha postato sul suo account twitter la foto che ritrae Trump all’atto della firma: «Fino a quando vivrai, non vedrai mai una foto di 7 donne firmare un decreto riguardo cosa gli uomini possono o non possono fare con i loro organi riproduttivi», mentre il gruppo pro-aborto Naral twitta: «Il patriarcato pro-life ripristina la legge bavaglio». Ciò che più ferisce nella visione di una foto del genere, è dunque il prendere atto che la battaglia per il riconoscimento dei diritti delle donne è una strada ancora lunga in un mondo fatto per gli uomini e governato dagli stessi. Il diritto all’aborto non rappresenta semplicemente la libera scelta di una donna di non portare a termine una gravidanza, o il non dover subire le conseguenze che una gravidanza comporta e le responsabilità di cui, il mettere al mondo una vita, la investe: la libertà di ricorrere all’IVG è la possibilità che ogni donna ha di riappropriarsi del proprio corpo. Ciò che alimenta l’ira delle femministe è l’incapacità di comprendere che negare o limitare il diritto all’aborto non è semplicemente la negazione o la limitazione di un diritto: è lo smantellamento di un simbolo. Fino alle battaglie femministe e ai movimenti delle donne, il sesso femminile era rimasto rilegato alla sua sola funzione biologica: ogni atlante anatomico continuerà a riferirsi all’utero come a “l’organo della gestazione”, e alla vagina come a “l’organo della copula”, deputato ad accogliere il pene e a raccogliere il suo seme. E se questi organi sono studiati, descritti e analizzati in funzione della loro finalità -la riproduzione-, quanto è facile cadere nell’errore di considerare contro natura l’azione di colei che sceglie di non portare a termine la gravidanza? Perché, insomma, non affrontare una gravidanza, se il tuo utero esiste per quello scopo? Trump e le sue posizioni anti-abortiste sono la rappresentazione eclatante di una società patriarcale dove il corpo delle donne è subordinato alla funzione biologica del loro apparato riproduttivo: una logica per cui se sei dotata di un organo per riprodurti, devi riprodurti. Una società di donne, ragazze, figlie o sorelle, inevitabilmente destinate un giorno a diventare mogli e poi madri. Una società dove abortire è reato, una società che fa di una donna un pezzo del suo corpo; di una vita umana, un utero. Ecco l’importanza che la pillola anticoncezionale prima e l’aborto poi, hanno rappresentato nella strada per l’emancipazione femminile: le donne hanno avuto finalmente potere di decisione sul proprio corpo e sulla propria vita; si riappropriavano, attraverso la negazione della funzione anatomica del proprio apparato riproduttivo, della propria identità; si affermavano come persone libere svincolate dalla schiavitù riproduttiva. Ad oggi, nel 2017, il messaggio che gli Stati Uniti lanciano è totalmente sconfortante: un ritornare indietro nel tempo cancellando le conquiste che anni di lotte hanno faticosamente tentato di guadagnare. In perfetto stile conservatore, la limitazione della possibilità di scegliere del proprio utero, rappresenta legare nuovamente la maternità alla “donnità”; impedire che alla sessualità venga donata una differente visione, quella femminile.
“This is a man’s world” cantava James Brown ed quello che mi viene ancora da pensare osservando la foto di Trump nella sala ovale. Finché gli uomini non la smetteranno di negare i diritti delle donne, e finché il sesso femminile continuerà ad essere percepito solo in funzione alla sua finalità biologica, ogni donna avrà il diritto e il dovere di alzare la propria voce per non dover piegare ancora una volta la propria testa. Perché “this is a man’s world but it wouldn’t be nothing without a woman or a girl”.
Carlotta Felici
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