L’Inghilterra ha scelto la Brexit, la May l’hard Brexit. Con le dichiarazioni rilasciate lo scorso 17 gennaio è chiara la strada intrapresa dall’Isola per modificare i rapporti con l’UE: niente vie di mezzo, nessun “mezzo dentro – mezzo fuori”, il Regno Unito uscirà totalmente dall’Unione Europea. Le affermazioni della May, per quanto chiare nelle intenzioni di uscita «Vogliamo una nuova ed equa partnership tra un Regno Unito globale indipendente e che si autogoverni e i nostri amici e alleati in Ue, non una membership parziale nell’Unione Europea», sono sembrate, come dichiarato anche dal leader labourista, il tentativo di un alcolizzato di avere la botte piena e la moglie ubriaca, e a tratti hanno sfiorato la più becera delle propagande. Forse esagero, ma «non manterremo neanche un pezzo di Ue», per diventare un paese «globale, sicuro e sovrano» mi sembra un controsenso e una frase usata appunto a scopi esclusivamente propagandistici, che lascio commentare ad Adrian Short, cittadino inglese e utente di Twitter, che scrive:

«Theresa May passerà tempi difficili per convincermi che perdere diritto di vivere, lavorare e studiare in altri 27 paesi mi renda “più globale’”». Il nostro amico può però star tranquillo perché «stiamo abbandonando l’Europa e pianifichiamo un vertice biennale del Commonwealth. Costruiremo una Gran Bretagna veramente mondiale». Io non vorrei fare il guastafeste, però chi li avvisa che l’impero non ce l’hanno più, e che non siamo più nell’800 ma nel 2017? Chiedo scusa se dovessi risultare troppo sarcastico ma davvero, non saprei con che altro tono commentare queste frasi. Tra le dichiarazioni c’è anche un avviso all’Europa, che forse è più una richiesta di clemenza mascherata da minaccia; insomma come in una qualunque discussione dove chi sa di star nel torto alza la voce: «Voglio essere chiara. Il Regno Unito vuole continuare a essere un buon amico e un buon vicino dell’Unione Europea, ma so che ci sono alcuni che chiedono un accordo punitivo nei nostri confronti. Sarebbe una calamità autoinflitta per i paesi dell’Europa e non sarebbe un gesto amichevole. Il Regno Unito non potrebbe mai accettare un approccio di questo tipo». Credo che qualcosa sfugga alla May, una cosa abbastanza basilare: l’Inghilterra non è stata cacciata, ha scelto di andarsene, e sta scegliendo anche le modalità di allontanamento; non è più suo compito mettere bocca sulle decisioni dell’Unione. La May, insomma, sembra non comprendere che le decisioni che l’Unione Europea prenderà ora non riguardano più l’Inghilterra (che ripeto ha volontariamente scelto di andarsene), ma saranno decisioni che saranno determinanti per il futuro e la sopravvivenza dell’Unione stessa. E se queste decisioni comporteranno che la Brexit si tramuti in un Hard Brexit, mi viene solo da pensare: hai voluto la bicicletta? E ora pedala.
Venute alla luce le intenzioni dell’Inghilterra, si aspettano le contromosse dell’Unione, che ci dovranno essere e dovranno essere precise, puntuali ed efficaci al raggiungimento dei suoi interessi. Perché si sta creando un precedente, e concedere un’uscita troppo morbida sarebbe benzina sul fuoco di tutti gli euroscettici che spingerebbero ancora di più sull’acceleratore; la cosa che l’Europa non deve fare, ma che purtroppo sta già facendo, è perdersi in chiacchiere: il 24 giugno passato è stato chiaro l’esito del referendum e in 6 mesi l’Unione non ha fatto nulla. Non sto parlando di azioni nei confronti dell’Inghilterra, è chiaro che le trattative si fanno in due e quella che doveva iniziarle non era l’Europa bensì l’Isola, ma parlo di riforme strutturali al proprio interno: è palese che le forze centrifughe che aleggiano in tutti gli stati membri, e la Brexit, concretizzazione eccellente di queste, non sono nate casualmente e non sono frutto di movimenti radicali e nazionalisti, ma rappresentano la risposta a una mancanza o a una colpa, reale o percepita che sia, non importa; sono il risultato di anni di immobilismo Europeo. Ripeto, non è rilevante che questo sia vero o meno, non importa che l’Europa abbia costruito mezza Spagna dopo la dittatura, che abbia partecipato alla costruzione di numerose infrastrutture in tutto il continente (per citare solo alcune cose); la percezione che hanno le persone conta e non capire questo significa fallire nei propri intenti. Noi lo dovremmo già aver imparato dalla nostra politica interna: non importa più tanto chi sei, ma importa come ti vendi. Capisco che agli occhi di alcuni questo modo di pensare possa essere considerato sbagliato, però pragmaticamente ciò che conta è come l’Europa viene percepita. Non possiamo negare che l’Unione, ad oggi, abbia fatto anche realmente troppo poco rispetto agli obiettivi che si prefiggeva: è addirittura difficile dare una definizione di cosa sia l’Unione Europea nella realtà; non è una federazione, non è una confederazione, è qualcosa di più di semplici trattati… ma cosa? In potenza la macchina da welfare più grande del mondo e lo stato più forte del mondo – probabilmente- sotto tutti i punti di vista. Sicuramente è un sogno, ma bisogna lavorare affinché diventi realtà. E per tornare a noi, questo è il momento migliore per farlo, bisogna fare autocritica, tanta, tantissima e fatta bene, ma poi è necessario ripartire ancora più agguerriti proprio dalle criticità emerse: voi uscite? Noi rilanciamo: ci leghiamo ancora di più, mettiamo da parte il nazionalismo che è rimasto, e marciamo verso un’Unione vera, reale e percepita. Secondo me, questo è l’unico modo che l’Europa ha di sopravvivere, andare avanti e trasformarsi in una bella copia di se stessa, smettendola di rimanere fermi e aspettare che gli eventi passino. E, a tal proposito, è anche fondamentale che l’Unione faccia vedere la sua “bontà”; se il futuro dell’Unione è in bilico lo è altrettanto quello del Regno Unito, perché rendiamoci conto che se l’Inghilterra ha votato per uscire, in Scozia e in Irlanda del Nord ha vinto tranquillamente il “remain”. La premier scozzese Sturgeon ha risposto proprio alla May dicendo che «la Scozia non può essere trascinata in un percorso per il quale non ha votato e che è contrario ai suoi interessi. […] non sono pronta a permettere che gli interessi della Scozia vengano frantumati» e quindi l’ipotesi di un nuovo referendum scozzese non è da escludere, e anche la vittoria dell’uscita è una probabilità reale (ricordiamo tra l’altro che uno dei motivi per cui in Scozia nel precedente referendum indipendentista vinse il “remain” era proprio l’appartenenza del Regno Unito all’Unione Europea). Qui la differenza la farebbe quindi la “bontà” dell’Europa, che dovrebbe assicurare agli scozzesi un’entrata quasi immediata e facilitata nell’Unione, per non lasciare la nazione sola e isolata. Il futuro dell’Irlanda del nord è invece più incerto, e volendo immaginare un futuro lontano dal Regno, non si può che pensare alla riunificazione delle due Irlande, sempre nel segno dell’Europa e per l’Europa, per mettere definitivamente la parola fine a uno dei capitoli più tristi della recente storia europea.
Insomma la Brexit è sì un duro colpo per l’Unione, ma considerato il ruolo che l’Inghilterra ha avuto nell’UE, dimostrandosi sempre lo stato più avverso alle politiche più unitarie (dall’Euro ai corpi di Polizia Comunitari), per ragioni politiche e storiche, è anche un’occasione per dare finalmente lo slancio necessario affinché l’Europa diventi una sola e grande nazione, percepita dalla gente non come un gruppo di burocrati che impongono decisioni, ma come lo stato del welfare che ti mette a disposizione tutti i mezzi possibili per realizzarti.
Alessandro Consalvi
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